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Un clandestino a bordo

Dacia Maraini

 

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Un clandestino a bordo

Si può considerare l'aborto come una conquista fine a se stessa, come la bandiera di una tanto vagheggiata autonomia femminile? Quali che siano le ragioni, spesso disperate e legittime, che spingono una donna a separarsi dal bambino che si è fatto vivo nel suo ventre come un clandestino a bordo, non si tratterà comunque di una tragedia? Di una ferita profonda e non rimarginabile? Questo piccolo libro rappresenta un'occasione per riflettere sulla maternità e sull'aborto, per ripensare alle leggi che regolano nel nostro paese l'interruzione della gravidanza. Molte sono le considerazioni e le domande che affronta Dacia Maraini nella "Lettera sull'aborto" indirizzata all'amico Enzo Siciliano dove, sulla memoria di un figlio perduto poco prima che nascesse, si sofferma ad indagare la dolorosa separazione fra corpo materno e corpo filiale, il legame fra paternità e aborto, i motivi che nella nostra società inducono alcune donne ad abortire mentre presso popolazioni con religione e usanze molto lontane dalle nostre la nascita di un figlio resta un evento irrinunciabile. In "Corpo a corpo", la seconda parte di cui si compone "Un clandestino a bordo", Dacia Maraini continua le sue riflessioni, legate narrativamente alle proprie esperienze personali, sui significati mitologici, erotici, mercantili, del lungo viaggio del corpo femminile attraverso le terre dei padri. Linguaggio della seduzione, violenza, stupro, prostituzione, piacere, senso di colpa, verginità, matrimonio: è possibile per un corpo femminile trovare una porzione di felicità fuori dai luoghi stabiliti dalla convenzionale separazione dei compiti sessuali?

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